Dipendenza da cibo

La giornalista Denise Ubbriaco della rivista "La Legge per Tutti" mi ha proposto una riflessione su un argomento molto importante e di attualità.
Di seguito l'intervista:

Il cibo può diventare una droga?

Il cibo può considerarsi una droga quando, al pari di una qualunque sostanza psicoattiva come alcol e stupefacenti, diviene in grado di cambiare il funzionamento di una persona, il suo modo di sentire, pensare e comportarsi e, proprio come una droga, può innescare dipendenza patologica con caratteristiche e sintomi analoghi a quelli delle tossicodipendenze. Classicamente i problemi che considerano l’alterato consumo o assorbimento di cibo e che compromettono significativamente la salute fisica e il funzionamento sociale vengono classificati nei manuali diagnostici come disturbi della nutrizione e dell’alimentazione e riguardano patologie come l’anoressia, la bulimia nervosa e il binge eating (alimentazione incontrollata).

L’estensione oggi della definizione di sindrome di dipendenza a tutti quei comportamenti compulsivi e privi di controllo che vengono utilizzati dalle persone per fronteggiare lo stress ha fatto sì che si ampliasse anche la definizione e la comprensione delle patologie legate al cibo. Queste nuove forme di dipendenza vengono dette comportamentali, o senza sostanza, e vedono come oggetto della dipendenza non più una droga, ma un comportamento, un’abitudine più o meno essenziale per la vita, come il mangiare. Analogamente al cibo, anche altre attività come il gioco d’azzardo, lo shopping, il sesso, lo sport o l’attività fisica, il lavoro e l’utilizzo delle nuove tecnologie come gli smartphone, i social network e i videogiochi possono diventare oggetti di dipendenza.

Il perché un’abitudine, un comportamento o una relazione possano trasformarsi in dipendenza è oggi spiegato attraverso modelli che considerano molteplici cause di natura biologica, psicologica e sociale, che valutano l’ambiente di vita, le caratteristiche fisiche e psicologiche della persona e l’oggetto del consumo. La dipendenza non è una patologia che si sviluppa casualmente. Occorre una vulnerabilità di base che consenta l’attivazione di quei meccanismi di ricerca compulsiva, di sviluppo della tolleranza e di difficoltà a smettere che rendono “schiava” (addicted) una persona.

Quali sono i sintomi che segnalano la dipendenza dal cibo?

I sintomi di una dipendenza da cibo riguardano aspetti di carattere sia psichico che fisico. Nel cervello del “drogato da cibo” o mangiatore compulsivo si sono alterati dei processi neuronali che non gli consentono più di controllarsi e dire basta. Il corpo si adatta ad assumere grandi quantità di cibo, generalmente ricco di grassi e zuccheri, in modo incontrollato, rapido e compulsivo, anche senza fame e senza averne reale bisogno. Una persona con questa dipendenza pensa continuamente al cibo, a come procurarselo e quando mangiarlo. Abbuffarsi è considerata una modalità per fronteggiare lo stress e il cibo sembra l’unica cosa in grado di dare soddisfazione e piacere. E’ abbuffandomi che sto meglio e che riesco a gratificarmi! Nello stesso tempo, però, il mangiare grandi quantità di cibo fa provare sentimenti di colpa, imbarazzo e disgusto di sé. Ne deriva che per vergogna ci si abbuffa in segreto e senza essere visti, aumentando il senso di solitudine.

Quando può ritenersi alterato il rapporto con il cibo?

Si può ritenere un rapporto alterato quando si pensa continuamente al cibo in modo intenso e preoccupato, quando il mangiare condiziona la vita per le scelte delle attività da fare, le persone da vedere, il tempo libero e quello lavorativo. La persona si priva di un’alimentazione sana e di un buono stile di vita per mettere in atto comportamenti distruttivi e patologici come il non mangiare, l’abbuffarsi o il procurarsi il vomito. Non c’è necessariamente una corrispondenza tra il proprio modo alterato di vivere il cibo ed il peso corporeo o la propria forma fisica, quanto piuttosto nel proprio modo di percepire se stessi ed il proprio corpo come disarmonico e negativo.

Come funzionano i circuiti di ricompensa e gratificazione che scaturiscono dal cibo? Che succede nel cervello?

Il sistema di ricompensa e gratificazione (sistema di reward) consiste in un insieme di strutture cerebrali che vengono attivate a seguito dell’esposizione a stimoli considerati piacevoli che sono in grado di suscitare una sensazione di appagamento e aumentare i livelli di dopamina, il neurotrasmettitore del piacere.

Nel caso del cibo, si ritiene che alcuni alimenti, come il cibo spazzatura (junk food) siano in grado, molto più di altri (come per esempio una mela), di rilasciare una grande quantità di dopamina provocando una maggiore sensazione di ricompensa ed un maggiore desiderio di riprovare quella sensazione. Sulle persone più vulnerabili è possibile che il desiderio di ricerca dell’oggetto non sia più controllabile e divenga craving (smania patologica) per cui non si può più fare a meno di ricercare quell’oggetto di piacere anche quando questo ha perso le sue caratteristiche di gradevolezza e sia diventato dannoso e problematico. Questo è il punto in cui si è sviluppata la dipendenza e a livello cerebrale è possibile osservare specifiche alterazioni dei circuiti neuronali nel sistema di reward.

Come si può trattare la dipendenza da cibo? Quali terapie consiglia?

La riflessione sulla cura e la terapia di un disturbo psichico deve considerare le molteplici cause che hanno favorito l’insorgenza e la motivazione al trattamento come punti fondamentali di partenza. Se la persona dipendente, come solitamente avviene, non ritiene di avere un problema con il cibo e non richiede assistenza non sarà possibile convenire alcun percorso di terapia.

Potrà eventualmente essere realizzato, ed è fortemente consigliato, un lavoro di informazione e supporto psicologico con i familiari che hanno richiesto aiuto. Questo purtroppo avviene anche in quelle forme molto gravi che richiedono il ricovero in ospedale o in clinica e che per brevi periodi coinvolgono il malato in percorsi di cura, spesso presto abbandonati. La motivazione al trattamento, anche qualora sia la persona interessata a rivolgersi ad un professionista, va sempre favorita e mantenuta. Il sostegno psicologico alla motivazione si può ritenere una prima e necessaria forma di terapia.

In generale, le terapie efficaci in questo ambito sono varie e numerose e riguardano oltre che la cura della sintomatologia (che può riguardare ansia, depressione, compulsione, ecc..), il mantenimento dell’astinenza ed anche la più approfondita comprensione dei meccanismi psicologici di funzionamento che hanno portato allo sviluppo della patologia. In base alle caratteristiche della persona, la sua storia personale, gli eventuali percorsi di cura già effettuati in passato ed il momento di vita che sta attraversando possono essere consigliabili: una psicoterapia individuale, di gruppo, l’auto-mutuo aiuto, la psico-educazione, una farmacoterapia o un percorso di sostegno psicologico. Tutti i percorsi possono essere utili, svolti anche parallelamente e da più professionisti, ma non tutti sono necessari per qualunque persona.

E’ importante sottolineare che non esistono psicofarmaci specifici per la compulsione alle abbuffate e la dipendenza da cibo, quanto piuttosto farmaci che aiutano a stabilizzare l’umore e a sostenere la persona nei momenti di maggiore depressione o ansietà. Non esistono diete miracolose che risolvono il desiderio patologico di mangiare, quanto piuttosto esistono medici, nutrizionisti e dietologi che possono aiutare nell’accompagnamento all’alimentazione sana. Non esistono portentose teorie psicologiche che se utilizzate da geniali psicoterapeuti in poche sedute “cambiano la testa” delle persone. Affrontare e risolvere una dipendenza da cibo è un percorso faticoso e complesso che vede spesso ricadute e sofferenze, ma che è possibile e fondamentale per stare bene con se stessi, il proprio corpo e gli altri.

Articolo presente al link: La Legge per tutti | Il cibo puo diventare una droga?

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